
+ Parla Lucia Annibali, no sessismo
Si riapre così il dibattito su come lottare contro le discriminazioni: è sufficiente una legge che individui delle quote o imponga formalmente un'alternanza di genere? Viene da chiedersi se imporre una parità che nei fatti non c'è perché non esiste nella realtà della società italiana in ritardo di qualche decennio rispetto alle altre democrazie ed economie evolute, possa essere la giusta strada da seguire. E' l'organizzazione sociale che andrebbe nei modi e nei tempi completamente cambiata per spezzare quelle catene che impediscono di fare emergere talenti femminili: dal lavoro, alla famiglia ed alla maternità, dagli orari alla necessaria flessibilità che consentirebbe di costruire una società su misura delle esigenze personali di ciascuno. E' una delle grandi sfide della contemporaneità che tuttavia non può prescindere da un fattore, forse il più trascurato ad oggi in Italia: quello del merito.
Essere donna, essere omosessuale, essere giovane e via discorrendo non è un merito. E nonostante tanti sfruttino queste realtà facendone talvolta anche un mestiere, non pare che questa impostazione abbia prodotto dei risultati effettivi. Anzi, sembra quasi essere un modo per giustificare un cambiamento che è solo di facciata e non incide nel profondo. Non a caso le celebrazioni che ogni anno si tengono non fanno altro che constatare come il ritardo sia innanzitutto culturale, prima ancora che politico, economico e sociale.
In tanti hanno criticato la scomparsa di un Ministro dedicato alle Pari Opportunità che oggi, così come era nell'esecutivo Letta, è stato affidato ad un sottosegretario del Ministero del Lavoro, Teresa Bellanova, Pd con un passato di militanza Cgil. Con o senza Ministro, poco in realtà cambia a livello di approccio, molto tradizionale, perché la vera sfida sarebbe stata quella di smantellare integralmente uffici e dipartimenti che non sono mai riusciti ad ottenere altro che la preservazione di simboli usurati dal tempo. In un'ottica riformatrice è proprio il dicastero della Boschi quello cui si poteva guardare, riorganizzando gli uffici in base a taskforce di risultato: dall'omofobia all'imprenditoria, dalle unioni civili alla conciliazione lavoro-famiglia etc. Provando a creare magari quel Commissario per i diritti civili o quell'Agenzia per i diritti umani cui chiedere di stimolare sia le riforme legislative necessarie sia quelle politiche attive che incidano nel tessuto sociale.
L'Italia delle quote rosa e perché no anche quelle rainbow, a tutela delle rappresentanze lgbt, o di qualsiasi altro colore rischiano di creare una parità formale del tutto scissa dal merito e dalle competenze di ciascuno. Quell'antico vizio tipicamente veltroniano di comporre le liste elettorali per simbologie, per categorie (l'imprenditore, l'operaio, il sindacalista, la donna, il gay, l'immigrato etc) sembra essere puro maquillage che crea più problemi di quanti ne risolva. Partiamo dal merito: forse così inizieremmo a mettere ordine necessario per costruire delle politiche antidiscriminatorie davvero efficaci, davvero innovative.
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Giuliano Gasparotti |