di Francesco Greco - Cosparge la moglie di benzina e le dà fuoco. Non volevo ucciderla”, “Pescione tranciatore di testicoli”, “Uccide l’amica che ha 37 anni più di lui perché l’accusa di esser poco virile”, “Panico al circo. Scimmione fugge dalla gabbia e sodomizza magistrato”. E’ solo un campione dei titoli sparati negli anni di fuoco, di piombo e di fango da “Cronaca vera”, settimanale che non leggeva nessuno, ma che negli anni Settanta vendeva 600mila copie (sito in allestimento, sta per essere rilanciata, e fra bungabunga, stalking e femminicidi la materia prima non manca). Pubblico essenzialmente di destra, la destra prima del Ventennio berlusconiano, reazionario, annidato nelle periferie e in provincia, pruriginoso, omofobo, sessualmente represso, bigotto, sottoacculturato, fuori dai processi della Storia: refrattario al ‘68, il femminismo , la rivoluzione sessuale, il rock, insensibile al vento della modernità. Giornalismo hard sdegnato dalle firme dei quotidiani (che confinava quei fatti in esili trafiletti che però facevano da input alle pagine di carta dozzinale), avventuroso, senza un minimo di verifica, koinè a tinte forti, da grandguignol, format da voyer. Titoli sparati a corpo 90, storie di omicidi e sesso, passioni non corrisposte che sfociano nel delitto d’onore. Il successo di “Cronaca vera” dovrebbe essere analizzato dai massmediologi, spiegato dai guru della comunicazione. Vanta infinite imitazioni (i popolari britannici gli han copiato la bonazza mezza nuda in terza pagina). Sdegnava persino la pubblicità normale per concentrarsi su maghi, lottologi, cartomanti, telefoni a luci rosse, ecc. Stile asciutto, da verbale dei Carabinieri, tendenza a solleticare gli istinti del lettore, indugio morboso sui particolari piccanti, dovizia di interfacce. Osmosi semantica con i romanzi d’appendice del primo Novecento. Lettore medio individuabile coi codici lombrosiani, connotazione socio-antropologica: il moralista che trovi alla fermata dell’autobus, che senti concionare in treno sui massimi sistemi (ci vuole il Duce e la pena di morte), che frulla banalità al bar sport. Il settimanale, che aveva un pedigrèe nobile: primo direttore fu Antonio Pernia, ex redattore dell’Unità, intercettava un bisogno popolare di informazione senza cerebralismi né analisi raffinate, e dava voce a un’Italia underground che sfuggiva a ogni scansione sociologica, rintanata in un angolo della Storia: la borgata metropolitana e la cupa provincia sia del Nord che del Sud, ben attenta a non contaminarsi col mondo, blindata nei suoi riti e miti. I personaggi proposti sono “sconfitti che non hanno combattuto alcuna guerra”, “fuori dalla Storia, che semplicemente li schifa”, “il giornalismo li evita, perché non sono adatti nemmeno a combinare una bella strage” (in prefazione). Il copyright di quel giornalismo “Sperma, Lacrime e Sangue”, enfatico, seguace della massima “Se hai letto e ci credi, allora è vero”, oggi copiato dai talk pomeridiani delle principali reti tv (da “Verissimo” alla “Cronaca in diretta” e poi tutto l’infotainment, incluso “Porta a porta”: le infinite puntate sull’omicidio di Sarah Scazzi e Yara Gambirasio) e che si abbeverava alla chiacchiera da barbiere e al mormorio della portiera del palazzo, che surrogava un mondo metafisico che ci correva accanto ma che non vedevamo, è ripreso ora da “Cronache Vere” (Souvenir d’Italie), AA.VV., Edizioni Piano B, Prato 2013, a cura di Vicolo Cannery, pp. 184, € 14, collana “Avantiveloce”. 15 giovani scrittori chiamati da ogni parte d’Italia (Padova, Firenze, Roma, Alessandria, Napoli, ecc.), a riscrivere ex abrupto un episodio di cronaca avvenuto nella loro città usando il format di “Cronaca Vera”. Tutti belli, è da premettere, plot narrativo incalzante, attenzione alle sfumature e le psicologie, sprazzi di vera poesia: su tutti luccicano “Tonaca calibro 22“ (Suora spara a Trastevere)”, di Tommaso Giagni: suor Beniamina (meridionale) assolda uno sbandato, Nasir, maghrebino, che mangia alla mensa del convento, per assassinare suor Piera, bresciana che è stata missionaria in Africa (“si vantava dei corpi in cancrena curati…”), arrogante “modi spicci di campagna”, manesca, “cattiva, velenosa come una serpe”, moralista (“Sei una donnetta furba: non lo meriti, il velo…”), ma alla fine è lei a sparare con la pistola scordata da qualche ospite, e riesce a far archiviare l’inchiesta e depistare i cronisti, mentre la suora spocchiosa ferita al petto riceve dalla Diocesi il “Premio Buon Samaritano”. E “Rapporto intimo finisce sul web” (La vita distrutta della giovanissima Martina R.), di Gianfranco Di Fiore, storia della 13enne di Agropoli che un Sabato Santo finisce su You Tube per una performance erotica col fidanzato 24enne che tutto il paese scarica, anche in chiesa. L’”ignara martire” al tempo del download e l’android è poi esiliata dal mondo “in un convento ai confini con la Calabria” o al Nord dal padre agente immobiliare, avvocato, ristoratore, grafico pubblicitario a seconda di chi narra. Ma che si prende la rivincita sette anni dopo tornando al paese “capelli lunghi e neri” e danzando divinamente fra “applausi e pianti”, tanto da commuovere la madre seduta in prima fila. Altri racconti firmati da Fabrizio Gabrielli, Mario Fillioley, Gregorio Magini, Gianni Scolla, Stefania Auci, Angelo Marenzana, Andrea Gentile, Andrea Scarabelli, Paolo Zardi, Roberto Mandracchia, Angelo Petrella, Stefano Sgambati e Eleonora C. Caruso. L’antologia è firmata da Vicolo Cannery, agenzia letteraria romana attiva nel dar voce agli scrittori emergenti. E infatti quelli allineati in questo libro che si legge velocemente, adatto alla stagione estiva, sono in stand-by per uscire con Rizzoli, Garzanti, Dalai, Einaudi, Marsilio, ecc. Nuovi narratori crescono.
↧